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SS Benedetto XVI
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Discorso curia romana 22 Giugno 2008 (Quebec)

Pubblicato il 24 Febbraio 2011
TRASMISSIONE IN DIRETTA TV DELL’OMELIA DEL SANTO PADRE PER LA CELEBRAZIONE CONCLUSIVA DEL 49° CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE IN QUÉBEC (CANADA)

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Sala dei Foconi del Palazzo Apostolico Vaticano
Domenica, 22 giugno 2008

Signori cardinali,
Eccellenze,
Cari fratelli e sorelle,

Mentre siete riuniti per il quarantanovesimo Congresso eucaristico internazionale, sono lieto di raggiungervi attraverso la televisione e di unirmi così alla vostra preghiera. Desidero prima di tutto salutare il signor cardinale Marc Ouellet, arcivescovo di Québec, e il signor cardinale Josef Tomko, inviato speciale per il Congresso, e tutti i cardinali e i vescovi presenti. Rivolgo altresì i miei saluti cordiali alle personalità della società civile che hanno tenuto a prendere parte alla liturgia. Il mio pensiero affettuoso va ai sacerdoti, ai diaconi e a tutti i fedeli presenti, come pure a tutti i cattolici del Québec, dell’intero Canada e degli altri continenti. Non dimentico che il vostro Paese celebra quest’anno il quattrocentesimo anniversario della sua fondazione. È un’occasione perché ognuno ricordi i valori che hanno animato i pionieri e i missionari nel vostro Paese.

“L’Eucaristia, dono di Dio per la vita del mondo”, questo è il tema scelto per questo nuovo Congresso eucaristico internazionale. L’Eucaristia è il nostro tesoro più bello. È il sacramento per eccellenza; essa ci introduce maggiormente nella vita eterna, contiene tutti i misteri della nostra salvezza, è la fonte e il culmine dell’azione e della vita della Chiesa, come ricorda il Concilio Vaticano II (Sacrosanctum Concilium, n. 8). È dunque particolarmente importante che i pastori e i fedeli s’impegnino costantemente ad approfondire questo grande sacramento. Ognuno potrà così consolidare la propria fede e compiere sempre meglio la propria missione nella Chiesa e nel mondo, ricordandosi che vi è una fecondità dell’Eucaristia nella sua vita personale, nella vita della Chiesa e del mondo. Lo Spirito di verità testimonia nei vostri cuori; testimoniate, anche voi, Cristo dinanzi agli uomini, come dice l’antifona dell’alleluia di questa messa. La partecipazione all’Eucaristia non allontana dunque dai nostri contemporanei, al contrario, poiché essa è l’espressione per eccellenza dell’amore di Dio, ci invita a impegnarci con tutti i nostri fratelli per affrontare le sfide presenti e per fare della terra un luogo in cui si vive bene. Per questo dobbiamo lottare incessantemente affinché ogni persona sia rispettata dal suo concepimento fino alla sua morte naturale, le nostre società ricche accolgano i più poveri e riconferiscano loro tutta la loro dignità, ogni persona possa alimentarsi e far vivere la propria famiglia e la pace e la giustizia risplendano in tutti i continenti. Queste sono le sfide che devono mobilitare tutti i nostri contemporanei e per le quali i cristiani devono attingere la loro forza dal mistero eucaristico.

“Il mistero della fede”: è questo che proclamiamo in ogni messa. Desidero che tutti si impegnino a studiare questo grande mistero, specialmente rivisitando ed esplorando, individualmente e in gruppo, il testo del Concilio sulla Liturgia, la Sacrosanctum Concilium, al fine di testimoniare con coraggio il mistero. In questo modo, ciascuna persona giungerà a capire meglio il significato di ogni aspetto dell’Eucaristia, comprendendone la profondità e vivendola con maggiore intensità. Ogni frase, ogni gesto ha un proprio significato e nasconde un mistero. Auspico sinceramente che questo Congresso serva da appello a tutti i fedeli affinché si impegnino allo stesso modo per un rinnovamento della catechesi eucaristica, di modo che acquisiscano essi stessi un’autentica consapevolezza eucaristica e a loro volta insegnino ai bambini e ai giovani a riconoscere il mistero centrale della fede e costruiscano la loro vita intorno a esso. Esorto specialmente i sacerdoti a rendere il dovuto onore al rito eucaristico e chiedo a tutti i fedeli di rispettare il ruolo di ogni individuo, sia sacerdote sia laico, nell’azione eucaristica. La liturgia non appartiene a noi: è il tesoro della Chiesa.

La ricezione dell’Eucaristia, l’adorazione del Santissimo Sacramento – con ciò intendiamo approfondire la nostra comunione, prepararci a essa e prolungarla – significa consentire a noi stessi di entrare in comunione con Cristo, e attraverso di lui con tutta la Trinità, per diventare ciò che riceviamo e per vivere in comunione con la Chiesa. È ricevendo il Corpo di Cristo che riceviamo la forza “dell’unità con Dio e con gli altri” (cfr san Cirillo d’Alessandria, In Ioannis Evangelium, 11, 11; cfr. sant’Agostino, Sermo 577). Non dobbiamo mai dimenticare che la Chiesa è costruita intorno a Cristo e che, come hanno detto sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino e sant’Alberto Magno, seguendo san Paolo (cfr 1 Cor, 10, 17), l’Eucaristia è il sacramento dell’unità della Chiesa perché tutti noi formiamo un solo corpo di cui il Signore è il capo. Dobbiamo ritornare continuamente indietro all’ultima cena del giovedì santo, dove abbiamo ricevuto un pegno del mistero della nostra redenzione sulla croce. L’ultima cena è il luogo della Chiesa nascente, il grembo che contiene la Chiesa di ogni tempo. Nell’Eucaristia il sacrificio di Cristo viene costantemente rinnovato, la Pentecoste viene costantemente rinnovata. Possiate tutti voi diventare sempre più consapevoli dell’importanza dell’Eucaristia domenicale, perché la domenica, il primo giorno della settimana, è il giorno in cui onoriamo Cristo, il giorno in cui riceviamo la forza per vivere quotidianamente il dono di Dio!

Desidero anche invitare i pastori e i fedeli a un’attenzione rinnovata per la loro preparazione alla ricezione dell’Eucaristia. Nonostante la nostra debolezza e il nostro peccato, Cristo vuole dimorare in noi. Per questo, dobbiamo fare tutto il possibile per riceverlo in un cuore puro, ritrovando costantemente, mediante il sacramento del perdono, quella purezza che il peccato ha macchiato, “armonizzando la nostra anima con la nostra voce”, secondo l’invito del Concilio (cfr Sacrosanctum Concilium, n. 11). Di fatto, il peccato, soprattutto quello grave, si oppone all’azione della grazia eucaristica in noi. D’altro canto, coloro che non possono comunicarsi per la loro situazione troveranno comunque in una comunione di desiderio e nella partecipazione all’Eucaristia una forza e un’efficacia salvatrice.

L’Eucaristia ha un posto molto speciale nella vita dei santi. Rendiamo grazie a Dio per la storia di santità del Québec e del Canada, che ha contribuito alla vita missionaria della Chiesa. Il vostro paese onora in modo particolare i suoi martiri canadesi, Jean de Brébeuf, Isaac Jogues e i loro compagni, che hanno saputo donare la propria vita per Cristo, unendosi così al suo sacrificio sulla Croce. Appartengono alla generazione degli uomini e delle donne che hanno fondato e sviluppato la Chiesa in Canada, con Marguerite Bourgeoys, Marguerite d’Younville, Marie de l’Incarnation, Marie-Catherine de Saint-Augustin, monsignor François de Laval, fondatore della prima diocesi in America del Nord, Dina Bélanger e Kateri Tekakwitha. Imparate da loro, e come loro, siate senza paura; Dio vi accompagna e vi protegge; fate di ogni giorno un’offerta alla gloria di Dio Padre e prendete parte alla costruzione del mondo, ricordandovi con orgoglio della vostra eredità religiosa e del suo irradiamento sociale e culturale, e preoccupandovi di diffondere attorno a voi i valori morali e spirituali che giungono a noi dal Signore.

L’Eucaristia non è solo un pasto fra amici. È mistero di alleanza. “Le preghiere e i riti del sacrificio eucaristico fanno continuamente rivivere davanti agli occhi della nostra anima, nel corso del ciclo liturgico, tutta la storia della salvezza, e ci fanno penetrare sempre più il suo significato” (Santa Thérèse-Bénédicte de la Croix, [Edith Stein], Wege zur inneren Stille, Aschaffenburg, 1987, p. 67). Siamo chiamati a entrare in questo mistero di alleanza conformando ogni giorno di più la nostra vita al dono ricevuto nell’Eucaristia. Questa ha un carattere sacro, come ricorda il Concilio Vaticano ii: “ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado” (Sacrosanctum Concilium, n. 7). In un certo senso, essa è “liturgia celeste”, anticipazione del banchetto nel Regno eterno, annunciando la morte e la resurrezione di Cristo, “finché Egli venga” (1 Cor, 11, 26).

Affinché il popolo di Dio non manchi mai di ministri per donargli il Corpo di Cristo, dobbiamo chiedere al Signore di fare alla sua Chiesa il dono di nuovi sacerdoti. Vi invito anche a trasmettere la chiamata al sacerdozio ai giovani, affinché accettino con gioia e senza paura di rispondere a Cristo. Non saranno delusi. Che le famiglie siano il luogo primordiale e la culla delle vocazioni! Prima di terminare, è con gioia che vi annuncio il prossimo Congresso eucaristico internazionale. Si terrà a Dublino, in Irlanda, nel 2012. Chiedo al Signore di fare scoprire a ognuno di voi la profondità e la grandezza del mistero della fede. Che Cristo, presente nell’Eucaristia, e lo Spirito Santo, invocato sul pane e sul vino, vi accompagnino nel vostro cammino quotidiano e nella vostra missione! Che, sull’esempio della Vergine Maria, siate disponibili all’opera di Dio in voi! Affidandovi all’intercessione di Nostra Signora, di sant’Anna, patrona del Québec, e di tutti i santi della vostra terra, imparto a tutti voi un’affettuosa Benedizione Apostolica, e anche a tutte le persone presenti, venute da diversi Paesi del mondo.

Cari amici, mentre questo importante evento nella vita della Chiesa sta giungendo al termine, invito tutti voi a unirvi a me nel pregare per il buon esito del prossimo Congresso eucaristico internazionale, che si terrà nel 2012 nella città di Dublino! Colgo l’opportunità per salutare cordialmente il popolo d’Irlanda mentre si prepara a ospitare questo incontro ecclesiale. Sono fiducioso che, insieme a tutti i partecipanti al prossimo Congresso, vi troverà una fonte di rinnovamento spirituale duraturo.

© Copyright 2006 – Libreria Editrice Vaticana


Omelia 22 maggio 2008

Pubblicato il 25 Febbraio 2011
SANTA MESSA E PROCESSIONE EUCARISTICA ALLA BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE NELLA SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì, 22 maggio 2008

 

Cari fratelli e sorelle!

Dopo il tempo forte dell’anno liturgico, che incentrandosi sulla Pasqua si distende nell’arco di tre mesi – prima i quaranta giorni della Quaresima, poi i cinquanta giorni del Tempo pasquale –, la liturgia ci fa celebrare tre feste che hanno invece un carattere “sintetico”: la Santissima Trinità, quindi il Corpus Domini, e infine il Sacro Cuore di Gesù. Qual è il significato proprio della solennità odierna, del Corpo e Sangue di Cristo? Ce lo dice la celebrazione stessa che stiamo compiendo, nello svolgimento dei suoi gesti fondamentali: prima di tutto ci siamo radunati intorno all’altare del Signore, per stare insieme alla sua presenza; in secondo luogo ci sarà la processione, cioè il camminare con il Signore; e infine l’inginocchiarsi davanti al Signore, l’adorazione, che inizia già nella Messa e accompagna tutta la processione, ma culmina nel momento finale della benedizione eucaristica, quando tutti ci prostreremo davanti a Colui che si è chinato fino a noi e ha dato la vita per noi. Soffermiamoci brevemente su questi tre atteggiamenti, perché siano veramente espressione della nostra fede e della nostra vita.

Il primo atto, dunque, è quello di radunarsi alla presenza del Signore. E’ ciò che anticamente si chiamava “statio“. Immaginiamo per un momento che in tutta Roma non vi sia che quest’unico altare, e che tutti i cristiani della città siano invitati a radunarsi qui, per celebrare il Salvatore morto e risorto. Questo ci dà l’idea di che cosa sia stata alle origini, a Roma e in tante altre città dove giungeva il messaggio evangelico, la celebrazione eucaristica: in ogni Chiesa particolare vi era un solo Vescovo e intorno a Lui, intorno all’Eucaristia da lui celebrata, si costituiva la Comunità, unica perché uno era il Calice benedetto e uno il Pane spezzato, come abbiamo ascoltato dalle parole dell’apostolo Paolo nella seconda Lettura (cfr 1 Cor 10,16-17). Viene alla mente quell’altra celebre espressione paolina: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). “Tutti voi siete uno”! In queste parole si sente la verità e la forza della rivoluzione cristiana, la rivoluzione più profonda della storia umana, che si sperimenta proprio intorno all’Eucaristia: qui si radunano alla presenza del Signore persone diverse per età, sesso, condizione sociale, idee politiche. L’Eucaristia non può mai essere un fatto privato, riservato a persone che si sono scelte per affinità o amicizia. L’Eucaristia è un culto pubblico, che non ha nulla di esoterico, di esclusivo. Anche qui, stasera, non abbiamo scelto noi con chi incontrarci, siamo venuti e ci troviamo gli uni accanto agli altri, accomunati dalla fede e chiamati a diventare un unico corpo condividendo l’unico Pane che è Cristo. Siamo uniti al di là delle nostre differenze di nazionalità, di professione, di ceto sociale, di idee politiche: ci apriamo gli uni agli altri per diventare una cosa sola a partire da Lui. Questa fin dagli inizi è stata una caratteristica del cristianesimo realizzata visibilmente intorno all’Eucaristia, e occorre sempre vigilare perché le ricorrenti tentazioni di particolarismo, seppure in buona fede, non vadano di fatto in senso opposto. Pertanto, il Corpus Domini ci ricorda anzitutto questo: che essere cristiani vuol dire radunarsi da ogni parte per stare alla presenza dell’unico Signore e diventare in Lui una sola cosa.

Il secondo aspetto costitutivo è il camminare con il Signore. E’ la realtà manifestata dalla processione, che vivremo insieme dopo la Santa Messa, quasi come un suo naturale prolungamento, muovendoci dietro Colui che è la Via, il Cammino. Con il dono di Se stesso nell’Eucaristia, il Signore Gesù ci libera dalle nostre “paralisi”, ci fa rialzare e ci fa “pro-cedere”, ci fa fare cioè un passo avanti, e poi un altro passo, e così ci mette in cammino, con la forza di questo Pane della vita. Come accadde al profeta Elia, che si era rifugiato nel deserto per paura dei suoi nemici, e aveva deciso di lasciarsi morire (cfr 1 Re 19,1-4). Ma Dio lo svegliò dal sonno e gli fece trovare lì accanto una focaccia appena cotta: “Alzati e mangia – gli disse – perché troppo lungo per te è il cammino” (1 Re 19, 5.7). La processione del Corpus Domini ci insegna che l’Eucaristia ci vuole liberare da ogni abbattimento e sconforto, ci vuole far rialzare, perché possiamo riprendere il cammino con la forza che Dio ci dà mediante Gesù Cristo. E’ l’esperienza del popolo d’Israele nell’esodo dall’Egitto, la lunga peregrinazione attraverso il deserto, di cui ci ha parlato la prima Lettura. Un’esperienza che per Israele è costitutiva, ma risulta esemplare per tutta l’umanità. Infatti l’espressione “l’uomo non vive soltanto di pane, ma … di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3) è un’affermazione universale, che si riferisce ad ogni uomo in quanto uomo. Ognuno può trovare la propria strada, se incontra Colui che è Parola e Pane di vita e si lascia guidare dalla sua amichevole presenza. Senza il Dio-con-noi, il Dio vicino, come possiamo sostenere il pellegrinaggio dell’esistenza, sia singolarmente che in quanto società e famiglia dei popoli? L’Eucaristia è il Sacramento del Dio che non ci lascia soli nel cammino, ma si pone al nostro fianco e ci indica la direzione. In effetti, non basta andare avanti, bisogna vedere verso dove si va! Non basta il “progresso”, se non ci sono dei criteri di riferimento. Anzi, se si corre fuori strada, si rischia di finire in un precipizio, o comunque di allontanarsi più rapidamente dalla meta. Dio ci ha creati liberi, ma non ci ha lasciati soli: si è fatto Lui stesso “via” ed è venuto a camminare insieme con noi, perché la nostra libertà abbia anche il criterio per discernere la strada giusta e percorrerla.

E a questo punto non si può non pensare all’inizio del “decalogo”, i dieci comandamenti, dove sta scritto: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me” (Es 20,2-3). Troviamo qui il senso del terzo elemento costitutivo del Corpus Domini: inginocchiarsi in adorazione di fronte al Signore. Adorare il Dio di Gesù Cristo, fattosi pane spezzato per amore, è il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi. Inginocchiarsi davanti all’Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti al Santissimo Sacramento, perché in esso sappiamo e crediamo essere presente l’unico vero Dio, che ha creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito (cfr Gv 3,16). Ci prostriamo dinanzi a un Dio che per primo si è chinato verso l’uomo, come Buon Samaritano, per soccorrerlo e ridargli vita, e si è inginocchiato davanti a noi per lavare i nostri piedi sporchi. Adorare il Corpo di Cristo vuol dire credere che lì, in quel pezzo di pane, c’è realmente Cristo, che dà vero senso alla vita, all’immenso universo come alla più piccola creatura, all’intera storia umana come alla più breve esistenza. L’adorazione è preghiera che prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui l’anima continua a nutrirsi: si nutre di amore, di verità, di pace; si nutre di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non ci schiaccia, ma ci libera e ci trasforma.

Ecco perché radunarci, camminare, adorare ci riempie di gioia. Facendo nostro l’atteggiamento adorante di Maria, che in questo mese di maggio ricordiamo particolarmente, preghiamo per noi e per tutti; preghiamo per ogni persona che vive in questa città, perché possa conoscere Te, o Padre, e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo. E così avere la vita in abbondanza. Amen.

© Copyright 2008 – Libreria Editrice Vaticana


Angelus 10 Giugno 2007

Pubblicato il 26 Febbraio 2011
BENEDETTO XVI
ANGELUSPiazza San Pietro
Domenica, 10 giugno 2007

 

Cari fratelli e sorelle!

L’odierna solennità del Corpus Domini, che in Vaticano e in diverse Nazioni è stata già celebrata giovedì scorso, ci invita a contemplare il sommo Mistero della nostra fede: la Santissima Eucaristia, reale presenza del Signore Gesù Cristo nel Sacramento dell’altare. Ogni volta che il sacerdote rinnova il Sacrificio eucaristico, nella preghiera di consacrazione ripete: “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue“. Lo dice prestando la voce, le mani e il cuore a Cristo, che ha voluto restare con noi ed essere il cuore pulsante della Chiesa. Ma anche dopo la Celebrazione dei divini misteri il Signore Gesù resta vivo nel tabernacolo; per questo a Lui viene resa lode specialmente con l’adorazione eucaristica, come ho voluto ricordare nella recente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis (cfr nn. 66-69). Anzi, esiste un legame intrinseco tra la celebrazione e l’adorazione. La Santa Messa infatti è in se stessa il più grande atto di adorazione della Chiesa: “Nessuno mangia questa carne – scrive sant’Agostino – se prima non l’ha adorata” (Enarr. in Ps. 98, 9: CCL XXXIX, 1385). L’adorazione al di fuori della santa Messa prolunga e intensifica quanto è avvenuto nella celebrazione liturgica, e rende possibile un’accoglienza vera e profonda di Cristo.

Quest’oggi poi, nelle comunità cristiane di tutte le parti del mondo, si svolge la processione eucaristica, singolare forma di adorazione pubblica dell’Eucaristia, arricchita da belle e tradizionali manifestazioni di devozione popolare. Vorrei cogliere l’opportunità che mi offre la solennità odierna per raccomandare vivamente ai Pastori e a tutti i fedeli la pratica dell’adorazione eucaristica. Esprimo il mio apprezzamento agli Istituti di Vita Consacrata, come pure alle associazioni e confraternite che vi si dedicano in modo speciale: esse offrono a tutti un richiamo alla centralità di Cristo nella nostra vita personale ed ecclesiale. Mi rallegro poi nel constatare che molti giovani stanno scoprendo la bellezza dell’adorazione, sia personale che comunitaria. Invito i sacerdoti a incoraggiare in questo i gruppi giovanili, ma anche a seguirli affinché le forme dell’adorazione comunitaria siano sempre appropriate e dignitose, con adeguati tempi di silenzio e di ascolto della Parola di Dio. Nella vita di oggi, spesso rumorosa e dispersiva, è più che mai importante recuperare la capacità di silenzio interiore e di raccoglimento: l’adorazione eucaristica permette di farlo non solo intorno all'”io”, bensì in compagnia di quel “Tu” pieno d’amore che è Gesù Cristo, “il Dio a noi vicino”.

La Vergine Maria, Donna eucaristica, ci introduca nel segreto della vera adorazione. Il suo cuore, umile e semplice, era sempre raccolto intorno al mistero di Gesù, nel quale adorava la presenza di Dio e del suo Amore redentore. Per sua intercessione, cresca in tutta la Chiesa la fede nel Mistero eucaristico, la gioia di partecipare alla santa Messa, specialmente domenicale, e lo slancio per testimoniare l’immensa carità di Cristo.

Copyright © Libreria Editrice Vaticana


Omelia Corpus Cristhi 7 Giugno 2007

Pubblicato il 25 Febbraio 2011
SANTA MESSA E PROCESSIONE EUCARISTICA ALLA BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE NELLA SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì, 7 giugno 2007

 

Cari fratelli e sorelle!

Poco fa abbiamo cantato nella Sequenza: “Dogma datur christianis, / quod in carnem transit panis, / et vinum in sanguinem – È certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino”. Quest’oggi riaffermiamo con trasporto la nostra fede nell’Eucaristia, il Mistero che costituisce il cuore della Chiesa. Nella recente Esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis ho ricordato che il Mistero eucaristico “è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo” (n. 1). Pertanto quella del Corpus Domini è una festa singolare e costituisce un importante appuntamento di fede e di lode per ogni comunità cristiana. È festa che ha avuto origine in un determinato contesto storico e culturale: è nata con lo scopo ben preciso di riaffermare apertamente la fede del Popolo di Dio in Gesù Cristo vivo e realmente presente nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia. È festa istituita per adorare, lodare e ringraziare pubblicamente il Signore, che “nel Sacramento eucaristico continua ad amarci ‘fino alla fine’, fino al dono del suo corpo e del suo sangue” (Sacramentum caritatis, 1).

La Celebrazione eucaristica di questa sera ci riconduce al clima spirituale del Giovedì Santo, il giorno in cui Cristo, alla vigilia della sua Passione, istituì nel Cenacolo la santissima Eucaristia. Il Corpus Domini costituisce così una ripresa del mistero del Giovedì Santo, quasi in obbedienza all’invito di Gesù di “proclamare sui tetti” ciò che Egli ci ha trasmesso nel segreto (cfr Mt 10,27). Il dono dell’Eucaristia, gli Apostoli lo ricevettero dal Signore nell’intimità dell’Ultima Cena, ma era destinato a tutti, al mondo intero. Ecco perché va proclamato ed esposto apertamente, perché ognuno possa incontrare “Gesù che passa” come avveniva per le strade della Galilea, della Samaria e della Giudea; perché ognuno, ricevendolo, possa essere sanato e rinnovato dalla forza del suo amore. Questa, cari amici, è la perpetua e vivente eredità che Gesù ci ha lasciato nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Eredità che domanda di essere costantemente ripensata, rivissuta, affinché, come ebbe a dire il venerato Papa Paolo VI, possa “imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale” (Insegnamenti, V [1967], p. 779).

Sempre nell’Esortazione post-sinodale, commentando l’esclamazione del sacerdote dopo la consacrazione: “Mistero della fede!”, osservavo: con queste parole egli “proclama il mistero celebrato e manifesta il suo stupore di fronte alla conversione sostanziale del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore Gesù, una realtà che supera ogni comprensione umana” (n. 6). Proprio perché si tratta di una realtà misteriosa che oltrepassa la nostra comprensione, non dobbiamo meravigliarci se anche oggi molti fanno fatica ad accettare la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Non può essere altrimenti. Fu così fin dal giorno in cui, nella sinagoga di Cafarnao, Gesù dichiarò apertamente di essere venuto per darci in cibo la sua carne e il suo sangue (cfr Gv 6,26-58). Il linguaggio apparve “duro” e molti si tirarono indietro. Allora come adesso, l’Eucaristia resta “segno di contraddizione” e non può non esserlo, perché un Dio che si fa carne e sacrifica se stesso per la vita del mondo pone in crisi la sapienza degli uomini. Ma con umile fiducia, la Chiesa fa propria la fede di Pietro e degli altri Apostoli, e con loro proclama: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Rinnoviamo pure noi questa sera la professione di fede nel Cristo vivo e presente nell’Eucaristia. Sì, “è certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino”.

La Sequenza, nel suo punto culminante, ci ha fatto cantare: “Ecce panis angelorum, / factus cibus viatorum: / vere panis filiorum – Ecco il pane degli angeli, / pane dei pellegrini, / vero pane dei figli”. L’Eucaristia è il cibo riservato a coloro che nel Battesimo sono stati liberati dalla schiavitù e sono diventati figli; è il cibo che li sostiene nel lungo cammino dell’esodo attraverso il deserto dell’umana esistenza. Come la manna per il popolo d’Israele, così per ogni generazione cristiana l’Eucaristia è l’indispensabile nutrimento che la sostiene mentre attraversa il deserto di questo mondo, inaridito da sistemi ideologici ed economici che non promuovono la vita, ma piuttosto la mortificano; un mondo dove domina la logica del potere e dell’avere piuttosto che quella del servizio e dell’amore; un mondo dove non di rado trionfa la cultura della violenza e della morte. Ma Gesù ci viene incontro e ci infonde sicurezza: Egli stesso è “il pane della vita” (Gv 6,35.48). Ce lo ha ripetuto nelle parole del Canto al Vangelo: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (cfr Gv 6,51).

Nel brano evangelico poc’anzi proclamato san Luca, narrandoci il miracolo della moltiplicazione dei cinque pani e due pesci con cui Gesù sfamò la folla “in una zona deserta”, conclude dicendo: “Tutti ne mangiarono e si saziarono” (cfr Lc 9,11b–17). Vorrei in primo luogo sottolineare questo “tutti”. E’ infatti desiderio del Signore che ogni essere umano si nutra dell’Eucaristia, perché l’Eucaristia è per tutti. Se nel Giovedì Santo viene posto in evidenza lo stretto rapporto che esiste tra l’Ultima Cena e il mistero della morte di Gesù in croce, quest’oggi, festa del Corpus Domini, con la processione e l’adorazione corale dell’Eucaristia si richiama l’attenzione sul fatto che Cristo si è immolato per l’intera umanità. Il suo passaggio fra le case e per le strade della nostra Città sarà per coloro che vi abitano un’offerta di gioia, di vita immortale, di pace e di amore.

Nel brano evangelico, un secondo elemento salta all’occhio: il miracolo compiuto dal Signore contiene un esplicito invito ad offrire ciascuno il proprio contributo. I cinque pani e i due pesci stanno ad indicare il nostro apporto, povero ma necessario, che Egli trasforma in dono di amore per tutti. “Cristo ancora oggi – ho scritto nella citata Esortazione post-sinodale – continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona” (n. 88). L’Eucaristia è dunque una chiamata alla santità e al dono di sé ai fratelli, perchè “la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo” (ibid.).

Questo invito, il nostro Redentore lo rivolge in particolare a noi, cari fratelli e sorelle di Roma, raccolti in questa storica Piazza intorno all’Eucaristia: vi saluto tutti con affetto. Il mio saluto è innanzitutto per il Cardinale Vicario e i Vescovi Ausiliari, per gli altri venerati Fratelli Cardinali e Vescovi, come pure per i numerosi presbiteri e diaconi, i religiosi e le religiose, e i tanti fedeli laici. Al termine della Celebrazione eucaristica ci uniremo in processione, quasi a portare idealmente il Signore Gesù per tutte le vie e i quartieri di Roma. Lo immergeremo, per così dire, nella quotidianità della nostra vita, perché Egli cammini dove noi camminiamo, perché Egli viva dove noi viviamo. Sappiamo infatti, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella Lettera ai Corinzi, che in ogni Eucaristia, anche in quella di stasera, noi “annunziamo la morte del Signore finché egli venga” (cfr 1 Cor 11,26). Noi camminiamo sulle strade del mondo sapendo di aver Lui al fianco, sorretti dalla speranza di poterlo un giorno vedere a viso svelato nell’incontro definitivo.

Intanto già ora noi ascoltiamo la sua voce che ripete, come leggiamo nel Libro dell’Apocalisse: “Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). La festa del Corpus Domini vuole rendere percepibile, nonostante la durezza del nostro udito interiore, questo bussare del Signore. Gesù bussa alla porta del nostro cuore e ci chiede di entrare non soltanto per lo spazio di un giorno, ma per sempre. Lo accogliamo con gioia elevando a Lui la corale invocazione della Liturgia: “Buon Pastore, vero pane, / o Gesù, pietà di noi (…) Tu che tutto sai e puoi, / che ci nutri sulla terra, / conduci i tuoi fratelli / alla tavola del cielo / nella gioia dei tuoi santi”. Amen!

Copyright © Libreria Editrice Vaticana


Omelia 15 giugno 2006

Pubblicato il 19 Dicembre 2015

SANTA MESSA E PROCESSIONE EUCARISTICA NELLA SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì, 15 giugno 2006

 

Cari fratelli e sorelle, nella vigilia della sua Passione, durante la Cena pasquale, il Signore prese il pane nelle sue mani – così abbiamo sentito poco fa nel Vangelo – e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti” (Mc 14, 22-24). Tutta la storia di Dio con gli uomini è riassunta in queste parole. Non è soltanto raccolto ed interpretato il passato, ma anticipato anche il futuro – la venuta del Regno di Dio nel mondo. Ciò che Gesù dice, non sono semplicemente parole. Ciò che Egli dice, è avvenimento, l’avvenimento centrale della storia del mondo e della nostra vita personale.

Queste parole sono inesauribili. Vorrei meditare con voi in questa ora soltanto un unico aspetto. Gesù, come segno della sua presenza, ha scelto pane e vino. Con ognuno dei due segni si dona interamente, non solo una parte di sé. Il Risorto non è diviso. Egli è una persona che, mediante i segni, si avvicina a noi e si unisce a noi. I segni però rappresentano, a modo loro, ciascuno un aspetto particolare del mistero di Lui e, con il loro tipico manifestarsi, vogliono parlare a noi, affinché noi impariamo a comprendere un po’ di più del mistero di Gesù Cristo. Durante la processione e nell’adorazione noi guardiamo l’Ostia consacrata – il tipo più semplice di pane e di nutrimento, fatto soltanto di un po’ di farina e acqua. Così esso appare come il cibo dei poveri, ai quali in primo luogo il Signore ha destinato la sua vicinanza. La preghiera con la quale la Chiesa durante la liturgia della Messa consegna questo pane al Signore, lo qualifica come frutto della terra e del lavoro dell’uomo. In esso è racchiusa la fatica umana, il lavoro quotidiano di chi coltiva la terra, semina e raccoglie e finalmente prepara il pane. Tuttavia il pane non è semplicemente e soltanto il prodotto nostro, una cosa fatta da noi; è frutto della terra e quindi anche dono. Perché il fatto che la terra porti frutto, non è un merito nostro; solo il Creatore poteva conferirle la fertilità. E ora possiamo anche allargare ancora un po’ questa preghiera della Chiesa, dicendo: il pane è frutto della terra e insieme del cielo. Presuppone la sinergia delle forze della terra e dei doni dall’alto, cioè del sole e della pioggia. E anche l’acqua, di cui abbiamo bisogno per preparare il pane, non possiamo produrla da noi. In un periodo, in cui si parla della desertificazione e sentiamo sempre di nuovo denunciare il pericolo che uomini e bestie muoiano di sete in queste regioni senz’acqua – in un tale periodo ci rendiamo nuovamente conto della grandezza del dono anche dell’acqua e quanto siamo incapaci di procurarcelo da soli. Allora, guardando più da vicino, questo piccolo pezzo di Ostia bianca, questo pane dei poveri, ci appare come una sintesi della creazione. Cielo e terra come anche attività e spirito dell’uomo concorrono. La sinergia delle forze che rende possibile sul nostro povero pianeta il mistero della vita e l’esistenza dell’uomo, ci viene incontro in tutta la sua meravigliosa grandezza. Così cominciamo a capire perché il Signore sceglie questo pezzo di pane come suo segno. La creazione con tutti i suoi doni aspira al di là di se stessa ad un qualcosa di ancora più grande. Al di là della sintesi delle proprie forze, al di là della sintesi anche di natura e di spirito che in qualche modo avvertiamo nel pezzo di pane, la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso.

Ma ancora non abbiamo spiegato fino in fondo il messaggio di questo segno del pane. Il suo mistero più profondo, il Signore l’ha accennato nella Domenica delle Palme, quando gli fu presentata la richiesta di alcuni Greci di poterlo incontrare. Nella sua risposta a questa domanda si trova la frase: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Nel pane fatto di chicchi macinati si cela il mistero della Passione. La farina, il grano macinato, presuppone il morire e risuscitare del chicco. Nell’essere macinato e cotto esso porta poi in sé ancora una volta lo stesso mistero della Passione. Solo attraverso il morire arriva il risorgere, arriva il frutto e la nuova vita. Le culture del Mediterraneo, nei secoli prima di Cristo, hanno intuito profondamente questo mistero. Sulla base dell’esperienza di questo morire e risorgere hanno concepito miti di divinità che, morendo e risuscitando, davano vita nuova. Il ciclo della natura sembrava loro come una promessa divina in mezzo alle tenebre della sofferenza e della morte imposte a noi. In questi miti l’anima degli uomini, in certo qual modo, si protendeva verso quel Dio che si è fatto uomo, si è umiliato fino alla morte in croce e ha aperto così per tutti noi la porta della vita. Nel pane e nel suo divenire, gli uomini hanno scoperto come una attesa della natura, come una promessa della natura che questo avrebbe dovuto esistere: il Dio che muore e in questo modo ci conduce alla vita. Ciò che nei miti era attesa e che nello stesso chicco di grano è nascosto come segno della speranza della creazione – questo è accaduto realmente in Cristo. Attraverso il suo soffrire e morire liberamente, Egli è diventato pane per tutti noi, e con ciò speranza viva ed attendibile: Egli ci accompagna in tutte le nostre sofferenze fino alla morte. Le vie che Egli percorre con noi e attraverso le quali ci conduce alla vita sono cammini di speranza.

Quando noi adorando guardiamo l’Ostia consacrata, il segno della creazione ci parla. Allora incontriamo la grandezza del suo dono; ma incontriamo anche la Passione, la Croce di Gesù e la sua risurrezione. Mediante questo guardare in adorazione, Egli ci attira verso di sé, dentro il suo mistero, per mezzo del quale vuole trasformarci come ha trasformato l’Ostia.

La Chiesa primitiva ha trovato nel pane ancora un altro simbolismo. La Dottrina dei dodici Apostoli, un libro composto intorno all’anno 100, riporta nelle sue preghiere l’affermazione: “Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa dai confini della terra venga radunata nel tuo Regno” (IX, 4). Il pane fatto da molti chicchi racchiude anche un evento di unione: il diventare pane dei chicchi macinati è un processo di unificazione. Noi stessi, dai molti che siamo, dobbiamo diventare un solo pane, un solo corpo, ci dice san Paolo (1 Cor 10,17). Così il segno del pane diventa insieme speranza e compito.

In modo molto simile ci parla anche il segno del vino. Mentre però il pane rimanda alla quotidianità, alla semplicità e al pellegrinaggio, il vino esprime la squisitezza della creazione: la festa di gioia che Dio vuole offrirci alla fine dei tempi e che già ora sempre di nuovo anticipa a modo di accenno mediante questo segno. Ma anche il vino parla della Passione: la vite deve essere potata ripetutamente per essere così purificata; l’uva deve maturare sotto il sole e la pioggia e deve essere pigiata: solo attraverso tale passione matura un vino pregiato.

Nella festa del Corpus Domini guardiamo soprattutto il segno del pane. Esso ci ricorda anche il pellegrinaggio di Israele durante i quarant’anni nel deserto. L’Ostia è la nostra manna con la quale il Signore ci nutre – è veramente il pane dal cielo, mediante il quale Egli dona se stesso. Nella processione noi seguiamo questo segno e così seguiamo Lui stesso. E lo preghiamo: Guidaci sulle strade di questa nostra storia! Mostra alla Chiesa e ai suoi Pastori sempre di nuovo il giusto cammino! Guarda l’umanità che soffre, che vaga insicura tra tanti interrogativi; guarda la fame fisica e psichica che la tormenta! Dà agli uomini pane per il corpo e per l’anima! Dà loro lavoro! Dà loro luce! Dà loro te stesso! Purifica e santifica tutti noi! Facci comprendere che solo mediante la partecipazione alla tua Passione, mediante il “sì” alla croce, alla rinuncia, alle purificazioni che tu ci imponi, la nostra vita può maturare e raggiungere il suo vero compimento. Radunaci da tutti i confini della terra. Unisci la tua Chiesa, unisci l’umanità lacerata! Donaci la tua salvezza! Amen!

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Angelus 28 agosto 2005

Pubblicato il 19 Dicembre 2015

BENEDETTO XVI

ANGELUS

Castel Gandolfo
Domenica, 28 agosto 2005

 

 

 

 

Cari fratelli e sorelle!

È stata veramente una straordinaria esperienza ecclesiale quella vissuta a Colonia la scorsa settimana, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, con la partecipazione di un grandissimo numero di giovani d’ogni parte del mondo, accompagnati da molti Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose. È stato un evento provvidenziale di grazia per la Chiesa intera. Parlando con i Vescovi della Germania, poco prima di far ritorno in Italia, dicevo che i giovani hanno lanciato ai loro Pastori, e in certo modo a tutti i credenti, un messaggio che è al tempo stesso una richiesta: “Aiutateci ad essere discepoli e testimoni di Cristo. Come i Magi, siamo venuti per incontrarlo e adorarlo”. Da Colonia i giovani sono ripartiti per le loro città e nazioni animati da una grande speranza, senza tuttavia perdere di vista le non poche difficoltà, gli ostacoli e i problemi che in questo nostro tempo accompagnano la ricerca autentica di Cristo e la fedele adesione al suo Vangelo.

Non solo i giovani, ma anche le comunità e gli stessi Pastori debbono prendere sempre più coscienza d’un dato fondamentale per l’evangelizzazione: laddove Dio non occupa il primo posto, laddove non è riconosciuto e adorato come il Bene supremo, la dignità dell’uomo è messa a repentaglio. È pertanto urgente portare l’uomo di oggi a “scoprire” il volto autentico di Dio, che si è rivelato a noi in Gesù Cristo. Anche l’umanità del nostro tempo potrà così, come i Magi, prostrarsi dinanzi a lui e adorarlo. Parlando con i Vescovi tedeschi, ricordavo che l’adorazione non è “un lusso, ma una priorità”. Cercare Cristo dev’essere l’incessante anelito dei credenti, dei giovani e degli adulti, dei fedeli e dei loro pastori. Va incoraggiata questa ricerca, va sostenuta e guidata. La fede non è semplicemente l’adesione ad un complesso in sé completo di dogmi, che spegnerebbe la sete di Dio presente nell’animo umano. Al contrario, essa proietta l’uomo, in cammino nel tempo, verso un Dio sempre nuovo nella sua infinitezza. Il cristiano è perciò contemporaneamente uno che cerca e uno che trova. È proprio questo che rende la Chiesa giovane, aperta al futuro, ricca di speranza per l’intera umanità.

Sant’Agostino, del quale oggi facciamo memoria, ha stupende riflessioni sull’invito del Salmo 104 “Quaerite faciem eius semper – Cercate sempre il suo volto”. Egli fa notare che quell’invito non vale soltanto per questa vita; vale anche per l’eternità. La scoperta del “volto di Dio” non si esaurisce mai. Più entriamo nello splendore dell’amore divino, più bello è andare avanti nella ricerca, così che “amore crescente inquisitio crescat inventi – nella misura in cui cresce l’amore, cresce la ricerca di Colui che è stato trovato” (Enarr. in Ps. 104,3: CCL 40, 1537).

È questa l’esperienza a cui anche noi aspiriamo dal profondo del cuore. Ce l’ottenga l’intercessione del grande Vescovo d’ Ippona; ce l’ottenga il materno aiuto di Maria, Stella dell’Evangelizzazione, che invochiamo ora con la preghiera dell’Angelus.

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Omelia 26 maggio 2005

Pubblicato il 19 Dicembre 2015

SANTA MESSA E PROCESSIONE EUCARISTICA NELLA SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano
Giovedì, 26 maggio 2005

 

Nella festa del Corpus Domini, la Chiesa rivive il mistero del Giovedì Santo alla luce della Risurrezione. Anche il Giovedì Santo conosce una sua processione eucaristica, con cui la Chiesa ripete l’esodo di Gesù dal Cenacolo al monte degli Ulivi. In Israele, si celebrava la notte di Pasqua in casa, nell’intimità della famiglia; si faceva così memoria della prima Pasqua, in Egitto – della notte in cui il sangue dell’agnello pasquale, asperso sull’architrave e sugli stipiti delle case, proteggeva contro lo sterminatore. Gesù, in quella notte, esce e si consegna nelle mani del traditore, dello sterminatore e, proprio così, vince la notte, vince le tenebre del male. Solo così, il dono dell’Eucaristia, istituita nel Cenacolo, trova il suo compimento: Gesù dà realmente il suo corpo ed il suo sangue. Attraversando la soglia della morte, diventa Pane vivo, vera manna, nutrimento inesauribile per tutti i secoli. La carne diventa pane di vita.

Nella processione del Giovedì Santo, la Chiesa accompagna Gesù al monte degli Ulivi: è vivo desiderio della Chiesa orante vigilare con Gesù, non lasciarlo solo nella notte del mondo, nella notte del tradimento, nella notte dell’indifferenza di tanti. Nella festa del Corpus Domini, riprendiamo questa processione, ma nella gioia della Risurrezione. Il Signore è risorto e ci precede. Nei racconti della Risurrezione vi è un tratto comune ed essenziale; gli angeli dicono: il Signore “vi precede in Galilea; là lo vedrete” (Mt 28,7). Considerando ciò più da vicino, possiamo dire che questo “precedere” di Gesù implica una duplice direzione. La prima è – come abbiamo sentito – la Galilea. In Israele, la Galilea era considerata come la porta verso il mondo dei pagani. Ed in realtà proprio in Galilea, sul monte, i discepoli vedono Gesù, il Signore, che dice loro: “Andate.. e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28, 19). L’altra direzione del precedere, da parte del Risorto, appare nel Vangelo di San Giovanni, dalle parole di Gesù a Maddalena: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre..” (Gv 20, 17). Gesù ci precede presso il Padre, sale all’altezza di Dio e ci invita a seguirlo. Queste due direzioni del cammino del Risorto non si contraddicono, ma indicano insieme la via della sequela di Cristo. La vera meta del nostro cammino è la comunione con Dio – Dio stesso è la casa dalle molte dimore (cfr Gv 14, 2s). Ma possiamo salire a questa dimora soltanto andando “verso la Galilea” – andando sulle strade del mondo, portando il Vangelo a tutte le nazioni, portando il dono del suo amore agli uomini di tutti i tempi. Perciò il cammino degli apostoli si è esteso fino ai “confini della terra” (cfr Atti 1, 6s); così San Pietro e San Paolo sono andati fino a Roma, città che era allora il centro del mondo conosciuto, vera “caput mundi“.

La processione del Giovedì Santo accompagna Gesù nella sua solitudine, verso la “via crucis”. La processione del Corpus Domini, invece, risponde in modo simbolico al mandato del Risorto: vi precedo in Galilea. Andate fino ai confini del mondo, portate il Vangelo al mondo. Certo, l’Eucaristia, per la fede, è un mistero di intimità. Il Signore ha istituito il Sacramento nel Cenacolo, circondato dalla sua nuova famiglia, dai dodici apostoli, prefigurazione ed anticipazione della Chiesa di tutti i tempi. Perciò, nella liturgia della Chiesa antica, la distribuzione della santa comunione era introdotta dalle parole: Sancta sanctis – il dono santo è destinato a coloro che sono resi santi. In questo modo, si rispondeva all’ammonimento rivolto da San Paolo ai Corinzi: “Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice..” (1 Cor 11, 28). Tuttavia, da questa intimità, che è dono personalissimo del Signore, la forza del sacramento dell’Eucaristia va oltre le mura delle nostre Chiese. In questo Sacramento, il Signore è sempre in cammino verso il mondo. Questo aspetto universale della presenza eucaristica appare nella processione della nostra festa. Noi portiamo Cristo, presente nella figura del pane, sulle strade della nostra città. Noi affidiamo queste strade, queste case – la nostra vita quotidiana – alla sua bontà. Le nostre strade siano strade di Gesù! Le nostre case siano case per lui e con lui! La nostra vita di ogni giorno sia penetrata dalla sua presenza. Con questo gesto, mettiamo sotto i suoi occhi le sofferenze degli ammalati, la solitudine di giovani e anziani, le tentazioni, le paure – tutta la nostra vita. La processione vuole essere una grande e pubblica benedizione per questa nostra città: Cristo è, in persona, la benedizione divina per il mondo – il raggio della sua benedizione si estenda su tutti noi!

Nella processione del Corpus Domini, accompagniamo il Risorto nel suo cammino verso il mondo intero – come abbiamo detto. E, proprio facendo questo, rispondiamo anche al suo mandato: “Prendete e mangiate… Bevetene tutti” (Mt 26, 26s). Non si può “mangiare” il Risorto, presente nella figura del pane, come un semplice pezzo di pane. Mangiare questo pane è comunicare, è entrare nella comunione con la persona del Signore vivo. Questa comunione, questo atto del “mangiare”, è realmente un incontro tra due persone, è un lasciarsi penetrare dalla vita di Colui che è il Signore, di Colui che è il mio Creatore e Redentore. Scopo di questa comunione è l’assimilazione della mia vita alla sua, la mia trasformazione e conformazione a Colui che è Amore vivo. Perciò questa comunione implica l’adorazione, implica la volontà di seguire Cristo, di seguire Colui che ci precede. Adorazione e processione fanno perciò parte di un unico gesto di comunione; rispondono al suo mandato: “Prendete e mangiate”.

La nostra processione finisce davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore, nell’incontro con la Madonna, chiamata dal caro Papa Giovanni Paolo II “Donna eucaristica”. Davvero Maria, la Madre del Signore, ci insegna che cosa sia entrare in comunione con Cristo: Maria ha offerto la propria carne, il proprio sangue a Gesù ed è divenuta tenda viva del Verbo, lasciandosi penetrare nel corpo e nello spirito dalla sua presenza. Preghiamo Lei, nostra santa Madre, perché ci aiuti ad aprire, sempre più, tutto il nostro essere alla presenza di Cristo; perché ci aiuti a seguirlo fedelmente, giorno per giorno, sulle strade della nostra vita. Amen!

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