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OGNI 15 DEL MESE
RUBRICA a cura di P. Serafino Tognetti,
Comunità dei Figli di Dio

Adorazione Eucaristica (8°)

tratto dal libro “Adorazione” di P. Serafino Tognetti

continua…

Passività

L’adorazione è un atto di accoglienza: la mia anima si abbandona al Signore ed io faccio sì che Dio sia Dio. Dio si riversa su di me completamente come anima sua sposa nella Comunione, ma nella Comunione non sempre lo realizzo. Lo rivivo durante il giorno, quando faccio l’adorazione: “Vieni Signore. Tu ti sei dato a me questa mattina, adesso realizza quello che Tu sei in potenza”. Il Signore desidera la nostra adorazione perché vuole donarsi a noi, occupare il nostro tempo, riempire la nostra anima aperta. In quel momento noi non mettiamo nessun ostacolo, finalmente siamo passivi. Voglio Dio e voglio Dio solo. Ecco perché l’adorazione è l’atto di carità più elevato: perché dà a Dio di essere Dio in noi, di esprimere tutta la sua potenza e la sua grazia. L’atto è l’atto d’amore, il dono reciproco, la consumazione piena.

 

Una cura di bellezza

Unito al Signore Gesù, nell’atto d’amore in cui Egli si dà a me, io mi do a Lui nel

silenzio, lo consolo, riparo i peccati e vivo già la vita del Cielo. In modo imperfetto, certo, ma è questo ciò che dobbiamo testimoniare al mondo: dire che Dio c’è, che la vita eterna si vive già fin da adesso attraverso l’unione col Signore. Poi quello che sarà in Paradiso, si vedrà. La gente, vedendo te, dovrebbe dire: “Ti vedo proprio molto bella e radiosa, ma dove sei stata? Dall’estetista? Dalla parrucchiera?” e si risponderà: “No, a fare un’ora di adorazione”. Se volete diventare belle, adorate Dio. La preghiera nel Signore, riempendo di luce, rende bella la nostra vita interiore, e questa si riversa all’esterno facendoci realmente belli. Del santo Curato d’Ars dicevano che era un bell’uomo; in realtà era inguardabile, piccolo, sdentato, decisamente bruttino; ma perché dicevano che fosse così bello? Perché era santo, perché faceva ore e ore d’adorazione e la luce che emanava da lui riempiva il cuore di chi lo guardava. Chi lo conosceva veniva toccato dalla sua bellezza. Avete presente anche Madre Teresa di Calcutta: piena di rughe, non certo un modello di bellezza, però con un tratto così soave e dolce. Allo stesso modo Charles de Foucauld: le sue immagini ci dicono di una bellezza che viene da un altro mondo.

Le persone che fanno dell’adorazione la loro vita diventano radiose. Per non parlare di san Serafino di Sarov, il quale s’illuminava addirittura materialmente e riempiva di chiarore chi si avvicinava a lui. Era fisicamente un lampione della luce perché emetteva luce. Immaginate se io adesso v’illuminassi… Voi gridereste al miracolo. Questo dovrebbe essere invece l’ordinario, il normale: è arrivata la luce in casa perché ho adorato il Signore, sono stato insieme con Lui.

 

Carrellata di pensieri

Leggiamo infine alcuni pensieri di don Divo Barsotti sull’adorazione in rapporto alla Messa.

Veramente stanca guardare sempre in alto se dimentichiamo di guardare Dio attraverso Gesù. Il nostro cielo è nell’Ostia: nulla di più semplice, più povero, più fiducioso per noi. (…) Oh, come doni poco al tuo Dio se non gli doni Gesù!”[1]. Donare Gesù significa offrire il Signore ricevuto nella Comunione o, meglio, permettere che Egli ci assuma e ci presenti al Padre, riconciliati dal suo Sangue.

Non lo studio e la meditazione insegnano a vivere, ma l’amore[2]. L’atto più alto di carità è l’adorazione: Dio che, unico, vive nel nulla della creatura. In ogni preghiera avanti la preghiera d’unione trasformante c’è sempre uno sforzo, qualcosa come un ostacolo che dobbiamo superare, lo strapparsi dello spirito a una vita inferiore, il tendere spasimoso verso Dio non ancora posseduto. Il contatto di Dio disfà l’anima, riduce al nulla l’uomo, sembra consumarlo come in una fiamma. È una cosa di un attimo; poi rimane solo la fiamma limpida, immensa… il fuoco vivo[3]. L’atto di unione con Dio nella Messa che si prolunga nell’adorazione è questo fuoco che consuma l’anima. Basta solo esporsi al fuoco, stare in silenzio, entrare nel rapporto tra il Figlio e il Padre.

La pienezza si ha soltanto nella preghiera: lo studio ci lascia perennemente insoddisfatti. La filosofia porta con sé un’incompiutezza dolorosa. La preghiera è pienezza, non è caduta nell’incoscienza del nulla; è luce pura d’intelligenza, è forza per la volontà: l’io, invece di eclissarsi, si potenzia nella preghiera. Nella preghiera soltanto sento di possedermi pienamente: mi possiedo perché mi dono”. Basterebbe questo: mi possiedo perché mi dono! “È solo una frase? No. Sento di aver bisogno della preghiera per capire, per vedere, per essere forte, pronto. L’atto umano per eccellenza è l’atto della preghiera in cui l’uomo non è diviso[4].

La santità non è un metodo, una teoria, ma l’amore verso Dio come persona viva. L’amore di Gesù – e l’amore più che essere dolcezza e riposo è tormento vivo. (…) Devi andare a Gesù spoglio di tutto, gettarti avanti per raggiungerlo, per stringerti a Lui, incurante degli uomini. La tua vita non dev’essere una dimostrazione, una testimonianza, ma soprattutto deve essere vita[5].

Non importa tanto testimoniare, quanto vivere. Vivi la passività nei confronti di Dio. Dio riempie la tua anima di luce, poi quando fai qualsiasi cosa, sei luce. Non esci di casa per testimoniare, ma per essere, per vivere, in qualunque condizione. Non è difficile testimoniare, non ci vuole il diploma o un corso di studi. Quando io mi riempio di luce, faccio luce senza che nemmeno me ne accorga.

Ci vuole una grande fede, una fede veramente eroica, divina per vivere unicamente per Iddio. Ricorda che amare Dio vuole l’eroismo. Povertà assoluta, semplicità, adesione ferma e immediata a Dio[6].

“La diffamazione o la glorificazione; vivere tutto nel silenzio, senza che nessuno sappia nulla di me o [essere] Papa, guardato come faro da tutto il mondo; compiere le opere più eccelse nell’azione più estenuante e più vorticosa, fondazioni di ordini e conversioni di popoli o vivere nella solitudine di una cella… deve essere lo stesso per te: la tua vita deve essere Dio solo. Dio è al di sopra, è al di fuori di tutto. Come se tu fossi solo al suo Amore[7].

Questo avviene nell’adorazione. Io e Dio siamo soli, io e Lui. Poi quello che faccio, se sono Papa o se sono l’ultimo degli idioti, è lo stesso.

La Libertà di spirito ci deve stabilire in uno stato di perfetta indifferenza, così che lo spirito, staccato da tutto, viva solo per il possesso di Dio, attraverso ogni cosa, in ogni cosa”[8]. Distacco da tutto per essere di Dio e poi per vivere nella luce.

Oh come vorrei gettarmi nella tua fiamma, come vorrei essere incenerito, consumato dal Fuoco! Tu solo, perché Tu sei e Tu sei l’Unico, o Dio. Non mi importa di una mia vita, di una mia santità: quello che conservo non è che una mia difesa contro la tua Luce, perché Tu sei, e Tu devi essere solo. Io sono, io vivo per proclamare la tua Santità, la tua Unità, la tua Immensità[9].

L’uomo è condizione alla presenza di Dio, perché se dico “io sono”, pongo un altro principio. Certo, io e Gesù siamo due persone diverse, ma Egli ha bisogno del mio assenso per venire a vivere in me, per realizzare il detto paolino: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).

Mi diceva ogni tanto don Divo: “Se ti ricordi ancora il tuo nome, non sei cristiano!”. Ed io: “Ma no, padre… Scommetto che lei si ricorda il suo nome”. “No, non me lo ricordo più!”. Ed io concludevo: “Padre, se la santità è questa, io vi sono molto lontano…”.

La Chiesa ti dà sempre troppo se ti assicura l’esistenza di Dio[10]. Questa frase è per chi si lamenta sempre della Chiesa! La sposa del Cristo ti assicura sempre la presenza di Dio. Bisogna poi vedere se lo fa (non tanto la Chiesa, quanto gli uomini di Chiesa), ma questo è un altro paio di maniche.

Bisogna precipitare fino in fondo per conoscere il prezzo di Dio. Ed è la gioia piena e immensa[11].

L’unità dell’uomo con Cristo e in Cristo con Dio durante la Messa! Ma la Messa non è l’atto nel quale consuma la vita del mondo? Non è un atto tangente alla vita dell’universo, è l’atto piuttosto nel quale tutta la vita, tutta l’attività dell’universo precipita, corre al suo fine. E l’atto della Messa non è l’atto soltanto che consuma la vita dell’universo, ma è l’atto che consuma anche la vita di Dio. Nella sua umanità il Verbo vive l’atto eterno, puro assoluto di una sua oblazione al Padre. Ed ecco, io ero uno con Cristo come sacerdote vittima, e uno era l’atto; ma l’atto non era tangente, era l’atto di tutta la mia vita. Mentre cantavo il Gloria, sentivo che gli angeli stavano ascoltando[12]. Beato lui! A volte io canto il Gloria e penso a che cosa devo preparare per pranzo, se panini al formaggio o proporre l’arrosto del giorno prima. E continua: La Messa non è un atto di pietà personale. Dalla celebrazione dipendeva esattamente tutta la creazione; non della Messa in astratto, ma da quell’atto. E la mia Messa non moltiplicava l’atto del sacrificio. (…) La Messa non è copia. Non è ripetizione, è veramente l’atto di Dio, è veramente la vita dell’universo, sotto il segno della ripetizione è l’identità; sotto il segno del ricordo è la pura presenza. Come vivere questa Verità? L’uomo non vive l’unità nel suo profondo, ma non può viverla mai pienamente quaggiù nella propria esperienza sensibile: di qui il tormento ineffabile[13].

Di qui il tormento ineffabile, il desiderio del Cielo. Non so se noi viviamo questo desiderio quasi tormentoso della vita eterna… Una volta augurai una morte santa ad una suora di 103 anni, e lei mi disse che c’era ancora tempo… Come quella volta che augurarono “100 di questi giorni” al papa Giovanni XIII quando compì 85 anni; il Santo Padre rispose: “Perché solo cento? Non mettiamo limiti alla Provvidenza!”.

[1] Ivi, pp. 63-64.

[2] Ivi, p. 67.

[3] Ivi, p. 69.

[4] Ivi, p. 70.

[5] Ivi, p. 71.

[6] Ivi, p. 78.

[7] Ivi, p. 79.

[8] Ibid.

[9] Ivi, p. 84.

[10] Ivi, p. 88.

[11] Ivi, pp. 88-89.

[12] Ivi, p.86.

[13] Ivi, pp. 86-87.