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OGNI 15 DEL MESE RUBRICA
A Cura Di P. Serafino Tognetti, Comunità Dei Figli Di Dio

Adorazione eucaristica (19°)

tratto dal libro “Adorazione” di P Serafino Tognetti

continua…

Secondo effetto

L’uomo eucaristico è un uomo che crede. Credere non vuol dire aderire ad una dottrina impersonale e astratta, ma aderire a Cristo: credo in Gesù. Credo, Signore, che Tu sei la pienezza, credo che tu sia morto e risorto, credo che Tu sia in me.

Santa Teresa di Gesù Bambino, poco prima di morire disse ad una suora: “Se sapeste in quali tenebre sono immersa; non credo più alla vita eterna!”. Questa frase non hanno avuto il coraggio di “passarla” negli scritti autobiografici, anche perché non l’ha scritta, ma l’ha detta. Come puoi canonizzare qualcuno che dice di non credere più nella vita eterna? E continua la santa: “Mi sembra che dopo questa vita mortale non ci sia più nulla. Tutto è scomparso per me. Non mi resta che l’amore”. Questa frase per me ha creato un problema enorme: se tu non credi più nella vita eterna – e Gesù ha detto “Io sono la vita eterna” – poi aggiungi che dopo la morte ti pare che vi sia più nulla, come puoi dire che non ti resta che l’amore? L’amore per chi? Se tu dici di non credere, chi ami? Eppure sappiamo che santa Teresina muore dicendo: “Mio

Dio ti amo”. Questa è l’ultima parola che dice. Senza credere. O meglio, senza avere la percezione di credere nella vita eterna. Teresa in un certo senso sente di amare, nonostante sia sparito l’oggetto, ma getta il cuore al di là dell’ostacolo e dice: amo senza vedere, o addirittura: amo senza credere, che è una cosa quasi impossibile. Ma amo… Allora vuol dire che c’è qualcuno in te. Se dici questo, vuol dire che c’è qualcuno che ti ha oscurato tutto, ma c’è. E tu, in virtù di quest’amore che in un certo senso senti, lo vivi. Nel Cantico dei Cantici si dice che l’amore è più forte della morte, è la potenza più grande che abbiamo. L’amore va al di là della morte. L’atto della fede suprema di Teresina è dire “ti amo”. L’amore è più forte dell’apparente mancanza di fede. Anche Gesù dice: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34).

Può essere che anche voi abbiate ogni tanto qualche momento di smarrimento nella fede; può darsi che il Signore vi tenga in un’oscurità tale che voi vi smarriate. Quali sono allora in questo caso le risorse interiori? Le potenze dell’amore, di un amore che non si nutre di niente… L’amore fra persone di carne ed ossa si nutre anche di presenza, ma qui…

L’amore è la potenza che ti fa tenere nella fede. In un certo senso fede e amore si alimentano a vicenda, ma la fede si nutre di tenebre. La fede, alla fine, è questo salto nel buio, laddove l’Amore è pronto ad accoglierti e riempirti.

Terzo effetto

L’uomo eucaristico è un uomo in festa. “Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51). Non basta? L’assemblea della chiesa è in festa perché porta in sé la risposta al problema della morte. Ed io, quando parlo a gente atea, o marxista o buddista o quello che volete voi, dico: “Sì, sì, tutto bello, ma poi… la morte?”. Mi rispondono: “L’importante è questa vita, qui!”. E l’orizzonte qual è? Questa vita, qui. Invece l’uomo eucaristico ha in sé la risposta al problema della morte, perché la morte biologica è una nascita, è l’ingresso alla vita eterna. Questa è la risposta! Non me la sono inventata, perché mangio Colui che mi comunica la sua morte e la sua vita. Nell’atto in cui io morirò, ci sarà questa rinascita. Non è vero che l’uomo muore solo (come cantava De André: “Questo ricordo non vi consoli, quando si muore, si muore soli”), no! Dal di dentro, se io ho comunicato tutta la vita a Colui che è la vita eterna, si farà presente la Vita.

L’amore e la morte fraternizzano nell’Eucarestia. Questa realtà ricorda due personaggi “profani” che si uniscono solo nella morte: Tristano e Isotta. Si cercano tutta la vita e si ritrovano solo nell’atto in cui lui muore. Lei è talmente disperata, dopo averlo cercato per tanti anni, che dopo qualche giorno muore anche lei e li seppelliscono insieme. Questa è la leggenda. Dalle due tombe vicine nascono poi due piante che si intrecciano fra di loro e diventano una pianta sola. La morte, anziché separare, unisce.

Questo succede realmente non tanto a Tristano e Isotta, ma nella Messa, dove l’amore e la morte si uniscono, o meglio, si realizzano.

Quarto effetto

L’uomo eucaristico è un uomo purificato. Nella mensa trinitaria, tutto è santo. “Siete stati lavati!” dice Paolo nella I Lettera ai Corinzi “Siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore nostro Gesù Cristo” (1Cor 6,11). Nell’Eucarestia, Dio decide di non imputare più il peccato al peccatore. Cristo è giustificazione in atto. Lo dice san Paolo: “Egli è stato fatto propiziatorio” (cfr. Rm 3,25). Il propiziatorio è il coperchio dell’Arca dell’Alleanza; in questa, nel tempio di Gerusalemme, erano conservate le tavole della legge e l’immagine è molto eloquente: Dio guarda l’Arca dell’Alleanza e vede il coperchio, Gesù. Quando vede la sua obbedienza, tutto viene perdonato. Nell’Eucarestia, Cristo si siede di nuovo con i peccatori, cioè con noi. Si scandalizzavano perché Gesù andava a mangiare con i peccatori, e anche oggi Gesù si fa mangiare dai peccatori. L’unica cosa che l’uomo deve fare è crederci. La collaborazione dell’uomo è che si penta dei propri peccati e che accetti di essere lavato. Il lavaggio non funziona se l’uomo non lo vuole, se non lo accetta, se non piega il ginocchio.

L’uomo che rimane rigido in piedi non può essere perdonato. Lo stare in ginocchio è un gesto simbolico, ma importante. Accettiamo di essere riconciliati. “Lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20), esorta l’apostolo. È tutto quello che dobbiamo fare: lasciate che Egli vi riconcili.

Quinto effetto

L’uomo eucaristico è chiamato alla santità, perché l’Eucarestia esige una risposta assoluta. “Chi mangia di me vivrà per me” (Gv 6,57). Non si torna indietro. Quando io consacro il pane, non posso dire: “Ho sbagliato, voglio riportarlo pane”. Quello rimane corpo di Cristo per sempre finché non viene consumato. È un assoluto. L’uomo eucaristico è chiamato alla totalità perché Gesù, se si dà, si dà tutto. Altrimenti non si dà. Egli ha dato tutto ed è nella sua natura chiedere tutto. Quando fate la comunione, non fate ragionamenti: “Fino a un certo punto…”, “Signore questo sì e questo no”. Tutto, tutto, fino alla morte di croce.

Altri effetti

L’uomo eucaristico è un uomo che diventa preghiera. Nel momento della morte Gesù si rivolge al Padre: “Padre, perdona loro… Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”. Gesù in croce prega, nella comunione prega il Padre perché io venga santificato. L’uomo eucaristico fa sua questa preghiera e porta su di sé il peso dell’intercessione universale, per tutti i peccatori. Chi fa la Comunione non si divide da alcuno ma, al contrario, si unisce a tutti e per tutti prega.

 L’uomo eucaristico è povertà assoluta. Dice san Paolo nella lettera ai Corinzi: “Egli ci fa divenire ricchi per mezzo della sua povertà” (cfr. 2Cor 8,9). La Chiesa non ha potere mondano, non deve averlo. Nella morte ci viene tolto tutto, anche il corpo. Quindi la Comunione vuol dire spogliarsi di tutto, rimanere ricchi di Dio e poveri di tutto il resto, come aveva bene intuito san Francesco.

L’uomo eucaristico è umile, perché è sempre in riferimento ad un Altro che vive in lui. “Non faccio ciò che voglio io” dice Gesù al Padre, “ma quello che Tu vuoi” (Mc 14,36).

Quest’umiltà piena trova una sua realizzazione, nel cristianesimo, nella verginità consacrata: se Cristo si è dato tutto a me, anch’io sono tutto per Lui, anche nelle mie espressioni umane. Io voglio conoscere solo queste nozze. Chi fa la comunione è la sposa, non la massa amorfa di gente. Io, fatte queste nozze, non ne voglio conoscere altre.

Non è facile, per chi non ha questa vocazione specifica, capire la profondità della verginità consacrata. Chi invece è chiamato sentirà un appello a vivere solo queste nozze fin da questa vita. Egli non vivrà nel rimpianto di quello che ha perduto, perché conosce la gioia per quello che guadagna.

Chi sente questo appello, non si tiri indietro! La verginità consacrata – l’uomo o la donna che sono tutti del Signore – è anche segno per gli altri che si può vivere di Dio. Dio non è una realtà tra le altre, è vita! Voi sposati dovreste vedere in chi vive la verginità per il Regno dei Cieli un segno di speranza continua. Quando voi che vivete nel mondo avete momenti di stanchezza o crisi, dovreste pensare a chi vive realmente la consacrazione verginale e averne immediatamente conforto, perché essi vi fanno presente lo Sposo divino.

Invece sovente tale consacrazione non è capita… O è matto lui – cosa che ci dicono regolarmente – cioè si sta autosuggestionando che esista uno Sposo, oppure dobbiamo ammettere che lo Sposo esista davvero. Pensate ad una persona che sta 60 anni in un convento ed è felice. Secondo voi tutti i giorni si alza la mattina e dice: “Devo credere!”? No, non si reggerebbe. O c’è Qualcuno davvero, o si va via.

Possiamo allora concludere affermando che l’uomo eucaristico, che si è nutrito del Corpo di Cristo, non vive più per sé, ma per il Signore e per i fratelli e diventa così, a sua volta, vita che s’irradia.