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OGNI 1 DEL MESE:
RUBRICA A Cura Di Don Riccardo Pane,
Diocesi Di Bologna,
Accademia Ambrosiana

DALL’EUCARISTIA CELEBRATA ALL’EUCARISTIA ADORATA (3°)
Le ultime settimane sono state segnate da aspre polemiche sui provvedimenti relativi al Vetus Ordo. Non entrerò nel merito della questione, anche se la scomparsa di un rito è sempre una disgrazia per la Chiesa: si perde sempre un tesoro. E di riti/tesori la Chiesa ne ha persi fin troppi.
Non esiste il rito perfetto, che esaurisca in pienezza il mistero incommensurabile della Messa. Solo il rito che si celebra in cielo è quello perfetto. I nostri riti terreni possono cogliere solo un frammento di tale mistero, ognuno un frammento diverso, e pertanto ciascuno di essi è una ricchezza per la Chiesa: quando se ne perde uno, si perde irrimediabilmente una faccia del poliedro.
Vorrei, invece, spostare l’attenzione su un altro punto, che mi pare trascurato nei dibattiti, e mi sembra invece essere il punto chiave: la questione del sacro. Chi ritiene il Vetus Ordo un modello di sacralità e il Novus di dissacrazione, a mio parere

sbaglia: basterebbe un po’ di conoscenza storica per sapere che non di rado anche il Vetus Ordo veniva celebrato con sciatteria, superficialità e senza alcuna devozione, biascicando le parole e i gesti. La devozione e il senso del sacro non sono tanto legati al rito (anche se non nego che alcuni riti predispongano più facilmente di altri) quanto al modo di celebrare e alla coscienza non solo del celebrante, ma anche
dell’assemblea.
Ora, è indubbio che in Occidente negli anni Sessanta si è verificato nella società un crollo devastante del senso di Dio, del senso del sacro, e si è iniziato a dissacrare tutto, tutto è diventato profano, e ciò non è imputabile a riti o a concili: è un fenomeno sociologico più ampio, che avrebbe avuto il suo decorso indipendentemente dalle mutazioni del rito. Fenomeno che ha colpito in
maniera molto inferiore i cristiani di Oriente: chi, come il sottoscritto, avesse formato la propria spiritualità e sensibilità liturgica all’interno dei riti orientali proverà un’insofferenza epidermica, al limite dell’intollerabilità, a partecipare alle chiassose assemblee delle nostre parrocchie, dove non vi è più traccia del Sacro e del Mistero. Intendiamoci bene: il Sacro e il Mistero ci sono allo stesso modo, perché attengono a Dio e al Sacramento, ma sono scomparsi in gran parte ex parte hominis,
nel modo di celebrare, di stare in chiesa, di pregare, di cantare, sopraffatti da chitarre, canzonette di musica leggera (se non addirittura rock) a soggetto religioso, didascalie, scambi di pace, battiti di mani, balletti, ricchi premi e cotillons.
Se si celebrasse il Novus Ordo, attenendosi scrupolosamente alla lettera della Sacrosanctum Concilium, che non rigettò il latino, ma lo integrò con il volgare; che non stravolse altari, come si crede comunemente; che non rinnegò il canto gregoriano e l’organo; che non ridusse il Canone romano a un rimasuglio museale; che non impose di sostituire i paramenti con degli stracci di poliestere; se insomma si celebrasse ricorrendo a tutti quegli elementi che concorrono a favorire il
senso del sacro e del mistero (canti di spessore musicale, incenso, solennità dei gesti, postura in ginocchio, ecc…) si scoprirebbe che anche il Novus Ordo è idoneo a questo scopo. Ma quand’anche si mettesse in atto tutto questo, rimarrebbe da restaurare l’atteggiamento interiore, che va al di là del rito, e che è stato gravemente danneggiato dalla mentalità moderna, priva del senso di Dio. Bisogna ripartire dal senso di adorazione e di timore davanti alla terribile presenza di Dio, come nell’Antico Testamento, quel timore che ti ammutolisce e ti fa piegare il capo e le ginocchia. C’è troppa confidenza con Dio, che è diventato un amicone, e troppo poco timor di Dio. Senza queste attitudini interiori, non c’è rito che tenga. Ed è difficilissimo ricreare questa attitudine interiore, perché bisogna andare contro corrente. La liturgia, però, a seconda di come è celebrata, può cavalcare questo andazzo (come accade qui in occidente), oppure può contrastarlo, rieducarlo, almeno
arginarlo, come accade in oriente. In fondo, chi si rivolge al Vetus Ordo, tante volte è
semplicemente alla ricerca di questo senso del sacro perduto, cerca il silenzio, carico di Mistero, cerca la trascendenza, l’orientamento verso Dio, l’estasi dalla volgare banalità di questo mondo effimero e superficiale, vuole incontrare Dio ancor prima che degli altri fratelli (anche se bisogna stare attenti a non mettere in concorrenza le due cose), cerca un’esperienza spirituale e non semplicemente un’emozione epidermica. Ma tutto questo dovrebbe essere alla base di ogni persona
che si accosta alla sacra liturgia, indipendentemente dalla forma rituale.