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VI DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO A

con P Justo Antonio Lofeudo MSE

L’ambientazione del Vangelo di Matteo nel capitolo 5, noto
come Discorso della montagna, è quella di una folla intorno
a Gesù sul pendio del monte Korazim, di fronte al mare di
Galilea.
Dopo le beatitudini c’è tutto il contrappunto tra “Avete
inteso che fu detto…” e “Ma io vi dico”, dove è chiaro
che Egli non è venuto ad abolire la Legge – come alcuni
allora lo accusavano – “finché non siano passati il cielo e la
terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della
Legge, senza che tutto sia avvenuto.”, dice chiaramente in
questo Vangelo. Gesù non è venuto a fare sconti sulla
Legge, ad abbassare l’asticella – come alcuni oggi
pretendono di fare – in modo che passi chi non può passare
altrimenti, cioè Gesù, non potrebbe mai rendersi
complice di alcuna esenzione o giustificare chi viola la
Legge. Gesù è il Figlio di Dio, è Dio, e -come abbiamo
ascoltato nella prima lettura del Libro del Siràcide- “Dio a
nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha
dato il permesso di peccare”.
Purtroppo, c’è una falsa idea di misericordia che si è


insinuata nella mente di molti fedeli. Mi riferisco a quella
misericordia dissociata dalla giustizia di Dio. Dio è
misericordioso, è anche giusto. È giusto perché è
assolutamente santo e non può ammettere il peccato, che
abomina. È misericordioso perché, per amore, si china sulla
miseria dell’uomo, non per lasciarlo nella miseria ma per
salvarlo. L’incontro più grande, più drammatico, più
commovente tra la giustizia divina e la sua misericordia
avviene sul Calvario, sulla croce di Cristo, nella sua carne
immolata, nella sua anima immensamente dolente. Il peso
infinito della giustizia di Dio ricade su Gesù Cristo quando
paga il riscatto di tutta l’umanità offrendosi al Padre e
ottenendo la sua misericordia per noi. Pertanto, la
misericordia di Dio non può essere presa alla leggera.

Senza pentimento, senza un proposito di emendarsi, non è
possibile ottenere la misericordia di Dio.
Perciò Gesù non è venuto a giustificare il peccato, a
giustificare chi viola la legge senza pentimento. No, non è
venuto per fare questo, ma perché la Legge sia portata a
pieno compimento, per portarla alla sua radice più
profonda: l’amore. Un amore che sopporta tutto, perdona
tutto e non risponde al male con il male, ma con il bene.
La Legge di Dio non è una somma di precetti, ma
l’amore stesso che Dio dona agli uomini come regole di
vita per raggiungere la vita eterna.
Questa legge non può essere adempiuta con la sola
forza di volontà, poiché la nostra volontà è ferita dal
peccato, originale e attuale, dalla concupiscenza. È la
grazia che rende possibile l’adempimento della Legge.
Pertanto, poiché la grazia esiste, poiché Dio vuole che
tutti gli uomini siano salvati, i comandamenti non sono
– come è stato detto – ideali irraggiungibili per alcuni. Dio
non chiede l’impossibile e dice a tutti noi quello che disse
a San Paolo: “La mia grazia ti basta”. E la grazia viene
attraverso Gesù Cristo.
Dall’altra parte, la grazia non agisce in automatico. Dio, che
ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te. La
volontà deve cooperare con la grazia. Cooperare
significa lavorare con, insieme a, cioè accompagnare la
grazia con la volontà affinché diventi la grazia efficace
in noi.
La nuova Legge che Cristo viene a esigere va oltre
quella antica. Così, Egli associa il quinto
comandamento, “Non uccidere”, all’adirarsi con il
fratello e all’offenderlo gravemente. Dio non accetta il
sacrificio, l’offerta, se non c’è una riconciliazione con il
fratello. Dobbiamo tenerlo presente quando celebriamo
l’Eucaristia, già al momento del rito penitenziale.

Se si guarda con desiderio una donna sposata,
desiderandola, si commette adulterio nel cuore. Davide,
quel tardo pomeriggio in cui si alzò dal letto e camminò
sulla terrazza della reggia e vide Betsabea che faceva il
bagno e la desiderò nel suo cuore (cfr. 2 Sam 11,2), già in
quel momento iniziò la tragica catena dei peccati.
Sentimento seguito da consenso. La mandò a chiamare,
commise adulterio con lei e poi fece mettere a morte
Uria, marito di Betsabea, per poterla tenere con sé. Ricordo
che sentire, ad esempio, un’attrazione per una persona non
è un peccato. Il peccato è acconsentire, è quando si lascia
che quel sentimento abbia la sua strada e si acconsente
all’inclinazione al peccato.
La Legge, ci insegna il Signore, è la Legge dell’amore:
amarsi gli uni gli altri, non farsi del male.
E non si tratta più del dovere naturale di amare gli amici,
ma di amare perfino i nemici e di pregare per loro!
“Sia il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene
dal Maligno”. L’ambiguità nel parlare, il parlare sibillino,
il dire sì e poi no, e poi non si sa, il non essere schietti e
sinceri è tipico di chi cerca di ingannare, di chi nasconde
la verità, di chi scende a compromessi con chi gli fa
comodo. Oggi dice sì, domani dice no, oppure non
sappiamo cosa dice, tutti questi giochi di parole non
vengono da Dio.
Cristo stesso ci fornisce il modello dell’uomo nuovo e
giusto, che compie la Legge in tutta la sua pienezza: è lui
stesso. Cristo è l’esempio da imitare. Gesù non ha mai
cercato di compiacere il suo pubblico. Era disposto a
essere lasciato solo (“Volete andarvene anche voi?”); non
ha mai negoziato con la verità. Il suo discorso era sempre
chiaro e proprio mentre annunciava la salvezza
denunciava l’ipocrisia.
Cristo ha dato tutto, dando il suo corpo e anche l’ultima
goccia del suo sangue, che ora è l’Eucaristia. Il suo

sacrificio d’amore al Padre per la nostra salvezza. Un
sacrificio che si attualizza ad ogni Messa.
Celebrare degnamente la Santa Messa, partecipare
devotamente, nel santo timore di Dio alla celebrazione,
adorare l’Eucaristia son tutti aspetti allineati sulla via della
salvezza, sulla via della santità.
Sia lodato Gesù Cristo!